La Separazione personale

La separazione personale dei coniugi è un istituto regolamentato dalle norme del codice civile (artt. 150 e ss.), dal codice di procedura civile e da una serie di norme speciali.

La separazione non pone fine al matrimonio, né fa venir meno lo status giuridico di coniuge. Incide invece su alcuni effetti propri del matrimonio:

  1. si scioglie la comunione legale dei beni,
  2. cessano gli obblighi di fedeltà e di coabitazione.

Permangono tuttavia altri effetti del matrimonio, ma sono limitati o disciplinati in modo specifico:

  1. dovere di contribuire nell’interesse della famiglia,
  2. dovere di mantenere il coniuge più debole,
  3. dovere di mantenere, educare ed istruire la prole.

Oggi la separazione può essere dichiarata per cause oggettive, cioè indipendentemente dalla colpa di uno dei due coniugi. È possibile quindi che i coniugi si separino perché avvenimenti esterni si frappongono alla coppia, perché sopraggiungono circostanze non previste, né prevedibili, al momento della celebrazione del matrimonio, perché ci si rende conto dell’esistenza di un’incompatibilità caratteriale insuperabile e, in generale, per tutti quei fatti che, usando l’espressione del legislatore, “rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza o recano grave pregiudizio all’educazione della prole” (art. 151, 1°co. c.c.).

La separazione, a differenza del divorzio, ha carattere transitorio, tanto che è possibile riconciliarsi, senza alcuna formalità, facendo cessare gli effetti prodotti dalla stessa (art. 154 c.c.). Per rendere formale la riconciliazione, oltre all’accertamento giudiziario, è possibile per i coniugi anche recarsi al Comune di appartenenza per rilasciare un’apposita dichiarazione. Può accadere che i coniugi decidano di interrompere la convivenza senza formalità ponendo in essere la cosiddetta separazione di fatto. La separazione di fatto non produce alcun effetto sul piano giuridico, né è sufficiente a far decorrere il termine per addivenire al divorzio. Inoltre, sebbene la separazione di fatto non sia sanzionata da alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria, l’allontanamento di uno dei due coniugi dall’abitazione familiare o l’instaurazione di relazioni extra-coniugali potrebbero essere motivo di addebito della separazione nel caso di separazione giudiziale.

A differenza dalla separazione di fatto, la separazione legale produce effetti che incidono sui rapporti personali e patrimoniali tra marito e moglie, e tra genitori e figli. Tra i principali ambiti nei quali si manifestano mutamenti della situazione giuridica si segnalano:

  1. le questioni patrimoniali relative alla comunione e ai beni acquistati in comune, e i diritti successori
  2. il diritto al mantenimento per l’ex coniuge
  3. il diritto agli alimenti per l’ex coniuge
  4. l’assegnazione della casa familiare
  5. l’affidamento dei figli ed il loro mantenimento.

La separazione legale dei coniugi può essere consensuale o giudiziale.

separazione e divorzio

Il Divorzio

Il divorzio è l’istituto giuridico che permette lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio quando tra i coniugi è venuta meno la comunione spirituale e materiale di vita. Si parla di scioglimento qualora sia stato contratto matrimonio con rito civile, di cessazione degli effetti civili qualora sia stato celebrato matrimonio concordatario.

Anche il procedimento di divorzio può seguire due percorsi alternativi, a seconda che vi sia o meno consenso tra i coniugi:

  1. divorzio congiunto, quando c’è accordo dei coniugi su tutte le condizioni da adottare
  2. divorzio giudiziale, quando non c’è accordo sulle condizioni (in questo caso il ricorso può essere presentato anche da un solo coniuge)

Il divorzio si differenzia dalla separazione legale in quanto con quest’ultima i coniugi non pongono fine definitivamente al rapporto matrimoniale, ma ne sospendono gli effetti nell’attesa di una riconciliazione o di un provvedimento di divorzio. Il divorzio è disciplinato dal codice civile (art. 149 c.c.), dalla legge 898/1970 (che ha introdotto l’istituto per la prima volta in Italia) e dalla legge n. 74/1987 (che ha apportato delle modifiche significative alla precedente).

Le cause che permettono ai coniugi di divorziare sono tassativamente elencate nell’art. 3 della legge n. 898/1970 e attengono principalmente ad ipotesi in cui uno dei coniugi abbia attentato alla vita o alla salute dell’altro coniuge o della prole, oppure abbia compiuto specifici reati contrari alla morale della famiglia.

La causa statisticamente prevalente che conduce al divorzio è la separazione legale dei coniugi protratta ininterrottamente per un periodo di tempo (oggi ridotto a 6 mesi, che diventano 12, se la separazione è stata giudiziale). Il termine decorre dalla prima udienza di comparizione dei coniugi innanzi al tribunale nella procedura di separazione personale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale. Per la decorrenza del termine non vale il tempo che i coniugi hanno trascorso in separazione di fatto, senza cioè richiedere un provvedimento di omologa al Tribunale.

Il divorzio può quindi essere richiesto:

  1. in caso di separazione giudiziale: qualora vi sia stato il passaggio in giudicato della sentenza del giudice;
  2. in caso di separazione consensuale: a seguito di omologazione del decreto disposto dal giudice;
  3. in caso di separazione di fatto: se la separazione è iniziata 2 anni prima del 18 dicembre 1970;

Nei primi due casi, tra la comparizione delle parti davanti al Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione e la proposizione della domanda di divorzio devono comunque essere trascorsi almeno sei mesi (o dodici se la separazione è stata giudiziale).

Con il divorzio viene meno lo status di coniuge e si possono contrarre nuove nozze e la donna perde il cognome del marito. A seguito di divorzio, vengono meno anche i diritti e gli obblighi discendenti dal matrimonio (artt. 51, 143, 149 c.c.), cessa la destinazione del fondo patrimoniale (art. 171 c.c.) e viene meno la partecipazione dell’ex coniuge all’impresa familiare (art. 230 bis c.c.).

La sentenza di divorzio potrà anche stabilire provvedimenti su:

  1. questioni patrimoniali e assegnazione dell’abitazione familiare
  2. versamento assegno divorzile
  3. affidamento della prole
martelletto e fedi nuziali

Gli obblighi di assistenza e contribuzione

  1. Obbligo reciproco di fedeltà: la fedeltà va qui intesa non solo come astensione dei rapporti sessuali con persone diverse dal coniuge, ma anche come dedizione spirituale che deve essere riservata principalmente al coniuge. In altre parole sarà violato l’obbligo di fedeltà anche nel caso in cui si preferisca avere rapporti personali privilegiati con persone diverse dal coniuge.
  2. Obbligo di assistenza morale materiale e di collaborazione: nel rispetto di questi obblighi si coglie forse uno degli aspetti essenziali del matrimonio; i membri della coppia, infatti, non decidono solo di vivere insieme per soddisfare esigenze personali, ma anche per venire l’uno incontro alle necessità dell’altro, e per decidere di indirizzare in maniera unitaria il cammino della loro vita. L’obbligo di assistenza, infatti, deve essere osservato ogni qual volta uno dei coniugi si trovi in difficoltà, difficoltà sia di natura morale sia di natura materiale. Non sfugge che tale obbligo ha contenuto sicuramente più ampio rispetto a quello che incombe sul coniuge nel prestare gli alimenti (art. 443 c.c.). Il diritto all’assistenza morale e materiale cessa con allontanamento senza giusta causa dalla residenza familiare (art. 146 c.c.). Per giusta causa si può intendere esistenza di fatti tali da rendere intollerabile la convivenza in presenza dei quali il diritto all’assistenza morale e materiale viene meno. L’articolo 146 c.c., inoltre, considera giusta causa di allontanamento la proposizione della domanda si separazione, annullamento del matrimonio o di divorzio;
  3. Obbligo di coabitazione e di contribuzione: i coniugi devono risiedere “sotto lo stesso tetto”, luogo dove fissano la residenza familiare; sono inoltre obbligati a contribuire ai bisogni della famiglia in proporzione alle proprie capacità di lavoro e professionale. Chiara è la differenza con l’obbligo di assistenza. In questo caso, infatti, ogni coniuge deve dare il suo contributo per le necessità della famiglia, mentre il dovere di assistenza materiale viene alla luce solo nei confronti dell’altro coniuge e quando questi si trovi in difficoltà. L’obbligo di contribuzione permane anche dopo la separazione trasformandosi in dovere di mantenimento.

Il mantenimento

In tema di separazione, la conseguenza patrimoniale più rilevante è l’eventuale diritto avanzato da uno dei coniugi al mantenimento, o agli alimenti.

L’obbligazione di reciproca assistenza (morale) e materiale dei coniugi (art.143 c.c.) e quella di mantenimento del coniuge separato privo di adeguati redditi propri (art.156 c.c.) hanno presupposti differenti purché condividano la medesima natura assistenziale. La prima costituisce effetto essenziale del matrimonio ed esprime un dovere di carattere generale che grava su ciascun coniuge nell’interesse stesso della famiglia, affinché entrambe le parti contribuiscano ai bisogni di quest’ultima.

L’obbligazione di mantenimento è invece eventuale e sorge sulla base di un duplice accertamento giudiziale avente ad oggetto l’intollerabile prosecuzione della convivenza e l’impossibilità per uno dei due di conservare per sé e per i figli il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; essa, pertanto, non può preesistere alla relativa domanda giudiziale. Anche il diritto al mantenimento del coniuge è dunque eventuale e spetterà ad uno dei coniugi solo in mancanza di addebito della separazione ed in mancanza di adeguati redditi propri, a patto che il coniuge tenuto a versare l’assegno si trovi effettivamente nella condizione economica di poter sostenere l’esborso.

Secondo nutrita e recente giurisprudenza (ex multis Cass. 2156/2010; Cass. 21979/2012 e 23734/2012; Cass. 2961/2015) il tenore di vita che l’assegno di mantenimento deve assicurare non è quello goduto durante la convivenza, bensì un tenore analogo che tenga conto dell’effetto economico negativo che, fisiologicamente, la separazione comporta nella gestione del menage familiare e deve inoltre essere valutata la capacità di guadagno del coniuge richiedente in termini concreti e non meramente astratti. Quindi tra le circostanze che il Giudice dovrà tener presente ai fini della quantificazione dell’assegno, rilevano la concreta ed effettiva possibilità di svolgere un lavoro, rapportata all’età ed alle condizioni di mercato del luogo in cui vive il coniuge beneficiario, nonché alla sua pregressa esperienza lavorativa e professionale, alle sue condizioni di salute e grado di istruzione.

E gli alimenti? Occorre precisare infine che il mantenimento assolve ad una finalità diversa rispetto all’onere degli alimenti (artt. 443 e 155 c.c.): il primo ha una funzione compensativa e come accennato funzionale a garantire all’altro coniuge un determinato tenore di vita, il secondo permette di garantire assistenza al coniuge che non riesca a soddisfare i bisogni primari e rappresenta un minus necessario alla sopravvivenza rispetto al primo.

L’assegno divorzile

Quando alla separazione segue il divorzio, l’assegno di mantenimento ivi disposto viene sostituito con l’assegno divorzile. Come è noto, la separazione non scioglie il vincolo matrimoniale, ma ne attenua gli effetti sospendendo alcuni doveri, senza che tuttavia vengano meno definitivamente; rappresenta una fase transitoria del rapporto tra i coniugi.

Diversamente, con il divorzio tutti i doveri coniugali vengono meno, i coniugi riacquistano lo stato libero e possono passare a nuove nozze. A rendere ancora più evidente questa antitesi, la sentenza Cass. 11504/2017.

La Suprema Corte, infatti, proprio con riferimento all’assegno di divorzio ha affermato che il criterio di liquidazione non può essere quello del mantenimento del tenore di vita come accade con la separazione, poiché sarebbe in contrasto con la natura stessa del divorzio (il criterio del tenore di vita che viene meno per il coniuge divorziato resta invece per i figli). Sul punto sono intervenute anche le Sezioni Unite che con la sentenza n. 18287/2018, abbandonando il principio individualista, hanno valorizzato il principio di solidarietà post coniugale nel pieno rispetto degli artt. 2 e 29 della Costituzione, conferendo all’assegno divorzile una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa/perequativa.

Secondo le indicazioni della Corte, l’indagine sulla legittimità dell’assegno divorzile, e se del caso sul quantum, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.

Diritti successori

Quanto all’aspetto successorio in tema di separazione, si precisa che rimanendo inalterato lo status di coniuge ciascuno di essi avrà diritto ad una quota della pensione di reversibilità e rimarrà titolare dei diritti successori in caso di sopravvenuto decesso del consorte durante la fase transitoria del rapporto. In caso di divorzio, nonostante a seguito dello scioglimento del matrimonio le parti perdano reciprocamente i diritti successori, il coniuge titolare dell’assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze, in caso di morte dell’altro coniuge, acquisisce comunque il diritto di godere del trattamento di reversibilità del defunto.

Se sei interessato a scoprire di più su questo argomento ti invito ad ascoltare il mio video, realizzato in collaborazione con Diritto al Punto, che tratta appunto i temi della separazione e del divorzio eccolo di seguito.

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