La sentenza di assoluzione

La Cass. Pen. n. 2548/2015 precisa in quale occasione il giudice dovrà pronunciare sentenza di condanna  ritenendo che “la regola di giudizio compendiata nella formula al di là di ogni ragionevole dubbio, impone di pronunciare la condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana”.

Qualora residui anche una sola eventualità ritenuta probabile, il codice di rito impone al giudice pronunciare sentenza di assoluzione e di utilizzare una delle formule tipiche che costituiscono un “riassunto” dei motivi della decisione. Secondo il Tonini, la scelta di prevedere più formule di assoluzione non appare ragionevole: a suo modo di vedere, infatti, gli argomenti che inducono a prosciogliere dovrebbero essere contenuti nella motivazione della sentenza e non apparire nel dispositivo.

Con la sentenza di assoluzione il giudice ritiene non fondata la responsabilità penale ascritta all’imputato; in altri termini, si indica il proscioglimento nel merito dell’imputato.

All’interno della generale categoria delle sentenze di proscioglimento, il codice impone una fondamentale distinzione tra sentenza di non doversi procedere e sentenza di assoluzione; per quanto ne conviene ci occuperemo di quest’ultima, che si rinviene disciplinata dal primo comma dell’articolo 530 c.p.p.

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Le formule assolutorie

Nell’enunciare tali formule, comunque, il codice segue una vera e propria gerarchia: inizia con quelle più favorevoli all’imputato e termina con le formule meno favorevoli; viene quindi utilizzato come criterio il pregiudizio morale che può derivare all’imputato. Vige pertanto il principio del favor per l’imputato poiché nelle situazioni in cui sarebbe possibile applicare più formule il giudice deve pronunciare la formula più ampiamente liberatoria.

Il Giudice è chiamato a pronunciare una sentenza di assoluzione ex art. 530 c. 1 c.p.p. quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova relativo ad una delle ipotesi tassative che schematicamente vengono così indicate dal legislatore:

  1. Perché il fatto non sussiste;
  2. Perché l’imputato non ha commesso il fatto
  3. Perché il fatto non costituisce reato
  4. Perché il fatto non è previsto dalla legge come reato
  5. Perché il fatto è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione

1. Assoluzione perché il fatto non sussiste

Deve essere adottata quando il fatto di reato, addebitato nell’imputazione, non trova conforto nelle risultanze processuali, ossia quando mancano gli elementi oggettivi che dovrebbero integrare la condotta, l’evento o il rapporto di causalità; in via esemplificativa, si utilizza questa formula quando:

  • manca l’elemento oggettivo del reato contestato;
  • nei reati di evento non si è verificato l’evento descritto dalla fattispecie incriminatrice;
  • nei reati di evento difetta il nesso di causalità tra la condotta e l’evento ex artt. 40 e 41 c.p.;
  • nei reati propri difetta in capo all’imputato la qualifica soggettiva richiesta dalla fattispecie incriminatrice (es.: pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio);
  • in relazione ai reati tentati (art. 56 c.p.), mancano i requisiti di idoneità e univocità degli atti;
  • in caso di reato impossibile (art. 49 c.p.) emerge l’inidoneità dell’azione o l’inesistenza dell’oggetto.

2. Assoluzione perché l’imputato non ha commesso il fatto

Tale formula è utilizzata quando il fatto addebitato sussiste dal punto di vita dell’elemento oggettivo, ma il reato non è stato commesso dall’imputato bensì da un altro soggetto; la Cass. Pen. n. 49831/2018 ha precisato pertanto che “sussiste l’interesse dell’imputato all’impugnazione della sentenza di assoluzione, pronunciata con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria “perché il fatto non sussiste”, considerato che, a parte le conseguenze di natura morale, l’interesse giuridico risiede nei diversi e più favorevoli effetti che gli artt. 652 e 653 c.p.p. connettono alla seconda nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare”.

3. Assoluzione perché il fatto non costituisce reato

In questo caso il fatto addebitato, pur essendo stato commesso dall’imputato e pur sussistendo nei suoi elementi oggettivi, non rappresenta un illecito penale, perché, ad esempio, manca l’elemento soggettivo o il presupposto della condotta. Il giudice la utilizza anche quando sono integrati sia l’elemento oggettivo sia quello soggettivo, ma il fatto è stato commesso in presenza di una delle cause di giustificazione (es. legittima difesa) (art. 530 co. 3); Ricapitolando viene utilizzata questa formula quando:

  • nei reati dolosi manca il dolo;
  • nei reati colposi manca la colpa o, come nel caso della responsabilità medica, sia lieve;
  • il reato è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione;
  • il reato è stato commesso in presenza di una causa di esclusione della colpevolezza.

4. Assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato

Viene pronunciata questa formula quando il fatto storico indicato nell’imputazione non rientra in alcuna fattispecie incriminatrice né sotto il profilo oggettivo né sotto quello soggettivo (assoluzione in iure). Il fatto contestato è stato commesso, ma è estraneo a qualsiasi norma incriminatrice. Tale formula è utilizzata anche quando il fatto era previsto come reato, ma la relativa norma di legge ha perso efficacia, oppure quando una legge depenalizza determinati reati, trasformandosi in illeciti amministrativi; ad esempio:

  • in caso di abolitio criminis ossia quando il fatto storico contestato risulta provato, ma non costituisce più né un illecito penale né un illecito amministrativo;
  • in caso di depenalizzazione ossia quando il fatto storico contestato risulta provato, ma la legge lo sanziona solo a livello amministrativo;
  • in caso di concorso apparente di norme ex art. 15 c.p.;
  • in caso di violazione del divieto di bis in idem;
  • in caso di applicazione analogica in malam partem di una fattispecie di reato, in violazione dei principi costituzionali di legalità e tassatività;
  • in generale quando il fatto contestato all’imputato si è verificato ma gli è stato attribuito per un errore di valutazione giuridica.

5. Assoluzione perché il reato è stato commesso da una persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione

L’ultima formula tipica prevista si manifesta quando il giudice accerta che il fatto è stato commesso ed è penalmente illecito, ma l’imputato non è punibile in concreto (non imputabile (es. minore), non punibile (es. rapporto di parentela ex art. 649) e penalmente immune). Questa formula è la più sfavorevole: qualora il giudice riconosca che l’imputato abbia commesso un fatto penalmente illecito, lo dichiara esente da pena; se il giudice accerta che l’autore del reato è non imputabile ma pericoloso socialmente, deve applicargli la misura di sicurezza prevista dalla legge.

Con il d. lgs n. 28/2015 è stata introdotta la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, in base alla quale quando l’offesa è particolarmente tenue ed il comportamento non è abituale, il giudice non irroga la sanzione penale e assolve l’imputato “perché il fatto non è punibile”. In seguito all’accertamento rigoroso delle predette condizioni, lo Stato rinuncia ad applicare la pena: al danneggiato non resta che la possibilità di rivolgersi al giudice civile per ottenere la condanna del responsabile al risarcimento del danno.

Sentenza di non doversi procedere

In subordine è doveroso sottolineare che il giudice può sempre pronunciare sentenza di non doversi procedere che non conterrà un accertamento del fatto storico bensì limitato agli aspetti processuali che ne impediscono l’accertamento. Le formule tipiche sono previste dagli articoli 529 e 531 c.p.p.:

  1. Perché l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, la sentenza contiene questa formula quando manca la condizione di procedibilità prevista dalla legge per quella determinata fattispecie incriminatrice (art. 529 c.p.p.) può difettare la querela, istanza, richiesta, autorizzazione a procedere.
  2. Per estinzione del reato, il codice penale prevede varie cause di estinzione del reato, la morte del reo prima della condanna (150 c.p.), l’amnistia (151 c.p.), la remissione di querela (152 c.p.) la prescrizione del reato (157 c.p.) l’oblazione nelle contravvenzioni, la sospensione condizionale della pena (163 c.p.), il perdono giudiziale per i minorenni (169 c.p.); nel corso del processo penale qualora si manifesti una causa di estinzione del reato, il giudice deve dichiararla immediatamente ed il processo non può proseguire.

Se sei interessato ad ascoltare un video ripasso sulle formule assolutorie eccolo di seguito, sempre realizzato in collaborazione con Diritto al Punto.

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