Contratto

Responsabilità contrattuale

Disciplinata dall’articolo 1218 del codice civile, il risarcimento da responsabilità contrattuale nasce dalla inesatta, incompleta o ritardata prestazione di uno specifico adempimento; lo stesso prevede l’obbligo di risarcimento del danno per il debitore inadempiente, in altre parole disciplina la responsabilità contrattuale, che sorge in caso di inadempimento dell’obbligazione e presuppone, quindi, un già esistente rapporto tra i soggetti. Essa si contrappone alla responsabilità extracontrattuale (2043 c.c.) nella quale è proprio con l’illecito che si instaura un rapporto tra le parti. Alla diversa struttura consegue anche una diversa disciplina.

È la fonte dell’adempimento a determinare il tipo di responsabilità. In quella di natura contrattuale, la fonte consiste in un precedente vincolo obbligatorio, che il debitore deve rispettare nei confronti del creditore, quest’ultimo nel caso subisse dei danni a seguito di un eventuale inadempimento, acquisirebbe il diritto ad essere risarcito per i pregiudizi conseguenti.

L’articolo sopra citato costituisce una delle norme cardine dell’intero codice. La sua funzione è quella di rispondere al seguente interrogativo: quando è il creditore a dover sopportare le conseguenze del mancato adempimento e quando, invece, è il debitore a dover farsene carico. La soluzione è data escludendo la responsabilità del debitore in presenza di due presupposti: uno oggettivo, cioè impossibilità della prestazione; uno soggettivo, cioè non imputabilità di questa impossibilità. Circa la nozione di non imputabilità, la dottrina è divisa: secondo una visione oggettiva, essa si identifica solo col fortuito o la forza maggiore; secondo una visione soggettiva, si tratta di un concetto più ampio, che comprende anche la colpa, dovendosi coordinare l’articolo in commento con l’art. 1176 del c.c. Il codice non precisa quando si abbia l’inadempimento definitivo; la determinazione dei casi in cui esso si verifica di fronte a quelli di semplice ritardo acquista particolare rilevanza in tema di accertamento dei danni da risarcire al creditore.

Come si vede, la norma di cui all’articolo 1218 c.c. sembra essere diversa da quella posta dall’articolo 1176 c.c. In particolare, essa risulta essere nettamente più sfavorevole per il debitore. Infatti:

  1. ai sensi dell’articolo 1176 c.c. sembrerebbe che il debitore, per non essere ritenuto responsabile, debba solo dimostrare di essere stato diligente;
  2. ai sensi dell’articolo 1218 c.c., sembra, invece, che il debitore, per non essere ritenuto responsabile, debba provare due fatti: a) il fatto specifico che ha causato l’impossibilità della prestazione e b) che tale fatto non è a lui imputabile, ma è un evento estraneo imprevedibile ed inevitabile (e come si vede tale prova sarà indubbiamente più difficile che provare la sola diligenza).

In altre parole, è come se il codice affermasse che il debitore non deve solo comportarsi in modo diligente ex art. 1176, ma deve anche andare oltre: deve impegnarsi nell’adempimento più che con l’ordinaria diligenza, dato che sarà ritenuto responsabile in ogni caso, salvo che l’inadempimento non sia dipeso da fatto a lui non imputabile. Ne conviene sostenere che nella responsabilità contrattuale, in ragione di una “ingiustizia” del danno in re ipsa, causato dall’inadempimento (da parte del debitore di una prestazione alla quale si era precedentemente vincolato) sanzionato a prescindere dalla verifica della sussistenza dell’elemento psicologico del dolo o della colpa, si assiste ad una inversione dell’onere probatorio. 

Nella responsabilità contrattuale, infatti, trova applicazione il principio della presunzione della colpa, spettando all’attore/creditore solo l’onere della prova dell’inadempimento e dell’entità del danno, mentre, di converso, al debitore spetterà, per sottrarsi all’obbligo risarcitorio, dimostrare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause a lui non imputabili. 

Responsabilità extracontrattuale (o aquiliana)

Disciplinata dall’art.2043 del codice civile, la responsabilità extracontrattuale nasce dalla violazione del principio del neminem laedere (non ledere i diritti altrui). La norma dice che chiunque cagioni un danno ingiusto con dolo o colpa è tenuto a risarcire i danni che ha provocato.

La responsabilità extracontrattuale o aquiliana non prevede alcun vincolo o rapporto obbligatorio tra le parti ma nasce dal fatto illecito compiuto dal danneggiante nei confronti del danneggiato. Il disposto dell’art. 2043 c.c. individua il fondamento della responsabilità extracontrattuale in “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto.

Data la genericità dell’espressione, la disposizione citata è considerata dalla dottrina una sorta di clausola generale dell’ordinamento, realizzata attraverso la c.d. atipicità dell’illecito civile.  Dal dettato letterale della norma, infatti, emergono gli elementi fondamentali per far sorgere la responsabilità extracontrattuale, ossia: il fatto illecito, il danno ingiusto, il nesso di causalità (giuridica e materiale) tra il fatto e il danno, la colpevolezza dell’agente e l’imputabilità del fatto lesivo. Al ricorrere di ogni requisito legale, spetterà sempre al giudice quantificare l’ammontare dovuto, considerato che l’art. 2059 c.c. legittima il danneggiato a pretendere il risarcimento delle conseguenze negative, anche di tipo non patrimoniale.

Il primo elemento che caratterizza la responsabilità aquiliana è il fatto illecito, ovvero qualunque fatto, atto o comportamento umano doloso o colposo in grado di cagionare ad altri un danno ingiusto. Nella nozione di fatto illecito possono farsi rientrare sia le condotte commissive che omissive, purché riconducibili, secondo il nesso di causalità, all’evento dannoso ed esista un vero e proprio obbligo giuridico di impedire lo stesso.

Il secondo elemento caratterizzante è il danno ingiusto soltanto quindi un fatto che arreca un danno in contrasto cioè con un dovere giuridico. L’interpretazione evolutiva di dottrina e giurisprudenza (Cass., SS.UU., n. 500/1999) ha ampliato negli anni la nozione di “ingiustizia del danno”, dilatando così i confini della responsabilità extracontrattuale, aldilà della sola funzione sanzionatoria della violazione dei precetti preesistenti nell’ordinamento giuridico, coincidente con la lesione dei diritti soggettivi assoluti, e ricomprendendovi qualsiasi condotta colpevole di aver determinato un danno ingiusto ad una posizione di interesse giuridicamente apprezzabile e meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, sia sotto il profilo del danno patrimoniale che non patrimoniale.

Deve, in ogni caso, sottolinearsi come il danno ingiusto è escluso nel caso in cui sussista una causa di giustificazione, come lo stato di necessità (art. 2045 c.c.) e la legittima difesa (art. 2044 c.c.).

Nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, un ruolo essenziale è rappresentato dal nesso di causalità; affinché sorga in capo al soggetto agente l’obbligo del risarcimento del danno, è necessario infatti che lo stesso sia causalmente riconducibile al fatto illecito, ovvero che sussista un rapporto di causa-effetto tale che l’evento dannoso possa dirsi provocato dal fatto compiuto (Cass. n. 7026/2001; Cass. n. 12431/2001; Cass. n. 2037/2000). Ai fini dell’accertamento dell’insorgere dell’obbligazione risarcitoria, il nesso di causalità va esaminato sotto un duplice profilo: quello della causalità materiale, ossia della sussistenza di un collegamento tra la condotta illecita e l’evento dannoso, e quello della causalità giuridica, ovvero dell’accertamento di un collegamento giuridico tra l’evento lesivo e le sue conseguenze dannose, allo scopo di delimitare il contenuto della stessa obbligazione risarcitoria.

Con riferimento alla causalità giuridica, l’art. 1223 c.c. (esteso alla responsabilità extracontrattuale dall’art. 2056 c.c.) stabilisce che il danno risarcibile deve essere la conseguenza diretta e immediata della condotta illecita, mentre per quanto concerne la causalità materiale si fa riferimento alle teorie sviluppate in ambito penalistico (teoria della causalità adeguata; della sussunzione sotto leggi scientifiche o statistiche, ecc.).

Ennesimo requisito dell’illecito aquiliano è quello della colpevolezza, ossia del nesso psichico che ricollega la condotta all’agente. Ai fini della configurazione della responsabilità extracontrattuale l’art. 2043 c.c. distingue, gli elementi della colpa e del dolo, senza fornire, peraltro, nessuna definizione.

Ulteriore ed ultimo requisito per l’addebito della responsabilità extracontrattuale è l’imputabilità, ovvero la riconduzione della condotta colpevole ad un soggetto fornito di adeguata capacità di intendere e di volere (Cass. n. 814/1967). Secondo l’art. 2046 c.c., infatti, “non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere e di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato di incapacità derivi da sua colpa”. Ne deriva che, il soggetto incapace di autodeterminarsi consapevolmente non potrà essere sottoposto né a sanzione penale (art. 85 c.p.) né a responsabilità civile, né imputato per il risarcimento del danno arrecato a terzi.

In campo civile come affermato dalla giurisprudenza, l’incapacità di intendere e di volere del soggetto che ha contribuito a causare il fatto dannoso ex art. 2046 c.c. ne esclude l’imputabilità ma non priva di rilevanza giuridica tale contributo nella produzione dell’evento (Cass. n. 5024/1993).

L’onere della prova

L’articolo 1218 c.c. appare chiaro in ordine all’onere della prova in materia di inadempimento, tuttavia si discuteva sul riparto del medesimo. In particolare, si registrava un contrasto giurisprudenziale: parte della giurisprudenza riteneva che il creditore dovesse provare l’inadempimento, mentre per l’orientamento minoritario era il debitore, eccepente l’estinzione dell’obbligazione, a dover provare l’intervenuto adempimento.

Secondo la prima tesi, quella tradizionale e prevalente, l’onere della prova del creditore mutava a seconda del tipo di azione proposta. Se, infatti, il creditore agiva per l’esecuzione del contratto o per l’esatto adempimento, lo stesso era tenuto a provare solo la fonte del rapporto, cioè il contratto; ciò in quanto si riteneva che il fatto costitutivo, oggetto dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., fosse proprio il contratto. Diversa era, invece, la soluzione allorquando il creditore avesse agito per la risoluzione. In tal caso, infatti, la il fatto da provare era dato dal contratto e dall’inadempimento. A comporre il contrasto sono intervenute le SS.UU. con la sentenza n. 13533/2001. Il contrasto tra le due tesi, come accennato, è stato composto dalle Sezioni Unite, le quali hanno aderito all’impostazione minoritaria, andando, peraltro, a saggiare la portata della nuova tesi anche in alcune fattispecie particolari (inesatto adempimento). In sostanza il creditore, che voglia agire in giudizio per la tutela della propria pretesa, dovrà provare il titolo ed allegare l’inadempimento, mentre sul debitore grava l’onere di dover provare la fattispecie solutoria.

A differenza della responsabilità contrattuale, nella quale come detto è il debitore ad essere gravato dell’onere di dimostrare di non aver potuto adempiere l’obbligazione per una causa a lui non imputabile (cfr. art. 1218 c.c.), nella responsabilità extracontrattuale è colui che agisce per ottenere il risarcimento a dover dimostrare non solo i fatti costitutivi della sua pretesa, ma altresì la riconducibilità agli stessi del comportamento del convenuto. Ciò implica, come pacificamente accettato in giurisprudenza che, in presenza di un fatto storico qualificabile come illecito civile ai sensi dell’art. 2043 c.c. incombe in capo alla parte danneggiata “l’onere della prova degli elementi costitutivi di tale fatto, del nesso di causalità, del danno ingiusto e della imputabilità soggettiva” (Cass. n. 191/1996; Cass. n. 17152/2002; Cass. n. 390/2008; Cass. n. 11946/2013).

La prescrizione

“Decorre dal momento in cui il danno si manifesta all’esterno divenendo oggettivamente percepibile e conoscibile” (Cass. n. 12666/2003; Cass. n. 5913/2000) la prescrizione del diritto al risarcimento del danno determinato da fatto illecito”

È, infatti, principio conformemente accettato in giurisprudenza quello secondo il quale, laddove “la percezione del danno non sia manifesta ed evidente, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, cosi come di quello dipendente da responsabilità contrattuale, sorge non dal momento in cui il fatto del terzo determina ontologicamente il danno all’altrui diritto, bensì dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile” (Cass. n. 10072/2010).

Pertanto l’articolo 2947 c.c. introduce una prescrizione breve di cinque anni per il risarcimento del danno da illecito extracontrattuale riducendolo a due anni per i danni da circolazione di veicoli. Viceversa in campo contrattuale, stante l’esplicito riferimento dell’articolo 2947 al fatto illecito, si applica la regola generale dell’articolo 2946 c.c. che prevede il termine di decorrenza decennale, salvi termini più brevi per alcuni tipi di contratti.

Differenze tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale

Ricapitolando, le differenze tra le due forme di responsabilità consistono nei seguenti aspetti:

  1. la capacità: per la responsabilità extracontrattuale è sufficiente la capacità naturale, cioè quella di intendere e di volere; mentre per aversi la responsabilità contrattuale occorre la specifica capacità di obbligarsi, cioè di agire;
  2. l’onere della prova: nella responsabilità extracontrattuale chi pretende il risarcimento dei danni (l’attore) deve dimostrare il fatto materiale, cioè la condotta dell’agente, il danno subito e il rapporto di causalità tra la condotta e il danno, nonché la colpa (o il dolo) dell’agente; nella responsabilità contrattuale, invece, l’attore deve dimostrare soltanto l’esistenza dell’obbligazione e l’oggettivo inadempimento mentre è a carico del debitore l’onere di provare che l’inadempimento non è a lui imputabile;
  3. i danni risarcibili: mentre in caso di responsabilità contrattuale, quando l’inadempimento è colposo sono risarcibili solo i danni prevedibili nel tempo in cui è sorta l’obbligazione, nella responsabilità extracontrattuale sono risarcibili tutti i danni che siano conseguenza immediata e diretta della condotta dell’agente;
  4. la prescrizione: in caso di responsabilità contrattuale, il diritto al risarcimento dei danni si prescrive nel termine ordinario di dieci anni, mentre in caso di responsabilità extracontrattuale, il diritto al risarcimento si prescrive, di regola, in cinque anni.

La giurisprudenza ammette anche la possibilità di concorso tra la responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale nell’ipotesi in cui un medesimo comportamento consista a un tempo nell’inadempimento di un’obbligazione e nella lesione di un diritto primario, come quello alla vita e all’incolumità personale. Ad esempio, Tizio resta ferito in un incidente mentre viene trasportato in vettura da Caio, col quale aveva stipulato un contratto di trasporto. In tal caso, Caio è considerato responsabile: a titolo di responsabilità contrattuale, in quanto l’art. 1681 c.c. sancisce la responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio; a titolo di responsabilità extracontrattuale, per la lesione colposa del diritto assoluto di Tizio all’incolumità personale.

In questo caso, il danneggiato può scegliere tra le due azioni a sua disposizione.

Per saperne di più sulla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, ecco di seguito i video realizzati in collaborazione con l’Avv. Cosimo Pagnini di Diritto Al Punto.

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